Plasma iperimmune riabilitato dal New England Journal of Medicine? Ecco cosa dice lo studio

Plasma iperimmune riabilitato dal New England Journal of Medicine? Ecco cosa dice lo studio

Plasma iperimmune riabilitato dal New England Journal of Medicine? Ecco cosa dice lo studio


Il 30 marzo appare sul New England Journal of Medicine uno studio sul plasma iperimmune. I ricercatori precisano fin dalle prime righe che la sua efficacia nel prevenire le forme gravi di Covid-19 è incerta. Infatti non avviene un confronto con farmaci antivirali o con gruppi di persone in gran parte vaccinate, ma con un «plasma di controllo». Nonostante il paper si inserisca nel filone di studi già noti che suggeriscono una certa efficacia, tale lavoro non può certo “riabilitare” la terapia, intesa come miglior arma di prevenzione delle forme gravi di Covid-19. Invece, a inizio aprile leggiamo: «De Donno aveva ragione. Studio americano conferma che la terapia funziona: salva vite e costa poco», titola Il Secolo d’Italia, rifacendosi a un articolo de La Verità. «Il medico vittima di un immotivato attacco mediatico si tolse la vita, ma la sua cura con il plasma convalescente funziona e costa poco», riporta Affaritaliani. Lo stesso studio è stato riportato durante un recente servizio del 13 aprile de Le Iene dal titolo «Plasma iperimmune, De Donno aveva ragione».

Per chi ha fretta:

  • Lo studio in oggetto per come è stato condotto non “ribalta” le nostre conoscenze sull’efficacia del plasma iperimmune.
  • Ampi studi mirati a confrontare il trattamento con altri già approvati hanno escluso una maggiore efficacia.
  • Il plasma iperimmune per essere ottenuto richiede una situazione pandemica in cui abbiamo un grande numero di malati, inoltre non stimola l’Organismo a produrre anticorpi neutralizzanti.

Analisi

Una breve premessa. Come abbiamo riportato a inizio articolo, gli stessi autori dello studio affermano, nelle primissime righe del documento, che «l’efficacia di questo plasma nel prevenire gravi complicanze nei pazienti ambulatoriali con Covid-19 di recente insorgenza è incerta». Si tratta di una dichiarazione che non smentisce quanto dichiarato dallo studio Tsunami pubblicato lo scorso 2021, seguendo la stessa linea di quanto pubblicato sempre dal New England Journal of Medicine nel novembre 2020. Insomma, niente di nuovo.

Le prime righe dello studio.

Quando vogliamo dimostrare che un farmaco è più conveniente di altre terapie già riconosciute (per esempio antivirali e anticorpi monoclonali), è con queste ultime che dovremmo fare un confronto. Dovremmo anche tener conto del fatto che solo certi pazienti hanno un maggiore rischio di sviluppare forme gravi della malattia. Leggiamo il metodo seguito nello studio, come riportato dai ricercatori (il grassetto è nostro):

In questo studio multicentrico, in doppio cieco, randomizzato e controllato, abbiamo valutato l’efficacia e la sicurezza del plasma convalescente Covid-19, rispetto al plasma di controllo, in adulti sintomatici (≥18 anni di età) che erano risultati positivi al test respiratorio acuto severo sindrome da coronavirus 2, indipendentemente dai loro fattori di rischio per la progressione della malattia o lo stato vaccinale. I partecipanti sono stati arruolati entro 8 giorni dall’esordio dei sintomi e hanno ricevuto una trasfusione entro 1 giorno dalla randomizzazione. L’outcome primario era l’ospedalizzazione correlata al Covid-19 entro 28 giorni dalla trasfusione.

Nei risultati leggiamo subito che i volontari sono stati arruolati tra il 3 giugno 2020 e il 1° ottobre 2021. La variante Omicron è emersa invece un mese dopo. Davvero la terapia al plasma costa meno delle terapie riconosciute? Leggiamo come commenta lo studio il collega Daniele Banfi della Fondazione Veronesi su Twitter:

Non c’è nessuna riabilitazione del “plasma iperimmune”. Come sempre si prende uno studio e lo si estrapola dal contesto per portare avanti la propria tesi del complotto contro De Donno […] L’utilizzo del plasma iperimmune non è una novità scientifica. […] Per quanto riguarda Sars-Cov-2 l’idea è la seguente: prendiamo il plasma dei guariti e somministriamolo a chi sta male in modo tale che gli anticorpi del guarito riescano a neutralizzare il virus nel malato […] 1)per avere plasma iperimmune devo avere malati. 2) solo il 30% dei donatori risulta idoneo 3) il plasma va somministrato endovena il prima possibile. Più virus neutralizzo e meno saranno i danni. Il tempismo è tutto. […] Veniamo dunque alla realtà: a marzo 2020 ricordate cosa erano gli ospedali? Chi pensa che di fronte a migliaia di decessi qualcuno potesse riuscire a produrre plasma iperimmune da somministrare a pazienti nemmeno ricoverati vive su un altro pianeta. In conclusione: nessuna riabilitazione del plasma iperimmune. Può servire nei pazienti ai primissimi stadi di infezione. Oggi il suo utilizzo può considerarsi del tutto superato poiché abbiamo a disposizione armi ben più efficaci e meno problematiche. /fine

Avevamo già visto che quando si conducono ampi studi (per esempio Tsunami in Italia), dove il plasma iperimmune viene contestualizzato rispetto alle altre terapie, che questo non risulta più efficace, né può sostituire la strategia vaccinale. Ne abbiamo trattato qui e qui. Agli inizi della pandemia, in assenza di altre armi a nostra disposizione, la terapia basata sul plasma dei convalescenti era praticamente l’unica soluzione.

Chi ha superato la malattia presenterà anticorpi nel sangue. Ma non tutti risulteranno perfettamente neutralizzanti, inoltre è una strategia passiva, che non permette al Sistema immunitario di sviluppare autonomamente gli anticorpi che servono. Insomma, presenta notevoli limiti per essere la terapia preferibile, rispetto ai vaccini e ai nuovi farmaci antivirali.

Riportiamo di seguito gli articoli da noi pubblicati sul plasma iperimmune, in ordine cronologico:

In merito al medico Giuseppe De Donno, la sua morte è stata utilizzata per proseguire una narrazione che la stessa famiglia aveva chiesto ufficialmente di cessare attraverso una lettera.

Conclusioni

Lo studio si basa su un gruppo di pazienti positivi alla Covid-19 dai 18 anni in su, senza distinguere i soggetti con maggiori fattori di rischio di incorrere in forme gravi. Il controllo non viene effettuato confrontando pazienti che hanno assunto altri farmaci o terapie riconosciute. Per tanto, nonostante l’entusiasmo, i ricercatori spiegano fin dalle prime righe del paper che «l’efficacia di questo plasma nel prevenire gravi complicanze nei pazienti ambulatoriali con Covid-19 di recente insorgenza è incerta».

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Scritto da Juanne Pili perwww.open.online il 2022-04-14 11:06:02 ,

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